SMALP - La Scuola Militare Alpina di Aosta

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Curiosità

 

Ho trovato in una vecchia pubblicazione quest'articolo sulla Scuola Militare Alpina d’Aosta. E’ stato scritto nel 1986.

Ora, anche se molte cose sono cambiate, trovo riesca a dare un quadro esauriente di cosa è stato e di cosa è’ un corso allievi ufficiali negli alpini.

Pare che con le prossime ristrutturazioni dell’esercito venga eliminata la figura dell’ufficiale di complemento. Speriamo che qualcuno allo Stato Maggiore o al Ministero della Difesa si renda conto che sarebbe un grande errore per tutti. Sappiamo benissimo che molti giovani, quasi tutti laureati, hanno dato e danno un grandissimo contributo al nostro paese per i quindici mesi del loro servizio. Freschi, entusiasti, con voglia di fare, qualità difficili da riscontrare in chi fa quel tipo di lavoro tutta la vita.

Inoltre, una volta tornati nel mondo borghese, l’esperienza fatta, li aiuta moltissimo. Senza contare che in quel periodo si arricchiscono di valori ormai in disuso come la lealtà, l’amore per la patria oltre alla consapevolezza di aver fatto il proprio dovere nel migliore dei modi e di essere a disposizione in caso di bisogno.

 

(Ten.) Filippo Pavan Bernacchi

140° corso AUC - 1a Compagnia, 2° plotone, fuciliere bar

 

 

 

SERVIZIO MILITARE

BOCCONIANO PENNA NERA

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Ad Aosta c’é la più dura scuola militare d’Europa: quella degli AUC alpini. Ma i laureati da 110 e lode fanno a gara per andarci: é l’altra faccia della naia

Nella caserma degli alpini Cesare Battisti di Aosta la sveglia suona tutte le mattine all 5 e 40 precise, con 50 minuti di anticipo sul già austero orario osservato nelle altre caserme italiane. Pochi minuti dopo, 300 ragazzi in tuta azzurra, con qualunque condizione atmosferica, scattano di corsa per l’adunata ( c’é una precisa regola che impedisce di attraversare il vasto cortile bianco al passo ) al centro della caserma: li aspettano 20 minuti tirati di ginnastica sotto la guida di un capitano, veterano della campagne Nato di Svezia e Norvegia, guida alpina e maestro di sci. E’ lo stesso ufficiale famoso per aver punito, una mattina di due anni fa, uno dei 300 con questa originale motivazione: "Faccia triste in adunata". Poi ci sono altri 20 minuti di corsa, con il capitano in testa che emula Alberto Cova e Stefano Mei, nei boschi intorno alla caserma. Seguono doccia, colazione e, alle otto, l’alzabandiera con l’inno di Mameli sparato a tutto volume dagli altoparlanti. I 300 vengono arringati, incitati a resistere, a non mollare. La frase con cui sempre il capitano conclude é sempre questa: "E ricordatevi che siete nella scuola militare più dura di tutta Europa". A iniziare così la giornata non sono, tuttavia, come sembrerebbe a prima vista, i Rambo di uno dei corpi speciali dell’esercito italiano. Sono, invece, gli allievi ufficiali di complemento degli alpini, conosciuti meglio con la sigla di AUC: quasi tutti laureati o laureandi, quasi tutti secchioni usciti con un buon voto dalla Bocconi o da ingegneria, molti figli di papà, qualche nome illustre. Insomma, quelli che i vecchi alpini una volta chiamavano "le signorinette" e che, magari, il servizio militare fino a poco tempo fa cercavano di dribblare. Oggi, invece, sono tutti lì: "A farsi fare un mazzo così; lo assicuro io", spiega il generale Enrico Borgenni, comandante dell’ormai mitica Scuola Militare alpina di Aosta. La sua colorita espressione é giustificata: i futuri sottotenenti di complemento sono un’élite intellettuale e atletica che rappresenta l’altra faccia del fenomeno servizio militare. Per fuggire alle casermone del Friuli, dove la naia porta spesso un senso di frustrazione e inutilità, quando non ai tragici casi di suicidio o di morti per incidente, i bocconiani, i laureati da 110 e lode oggi sognano Aosta. Naturalmente la selezione per entrare nel corso é dura. E anche tra i prescelti non tutti reggono un tale sforzo fisico e lo stile di vita. Nei cinque mesi di corso ("Partendo da zero ne facciamo dei veri ufficiali. E’ un’impresa fantastica", dice il generale Borgenni), gli AUC vanno a scuola per otto ore al giorno e affrontano un esamino una volta alla settimana. Le materie principali sono topografia, armi, dottrina tattico-logistica, guerra nucleare, biologica e chimica, con utilizzo di metodi didattici moderni come il computer. Ma oltre allo studio ci sono massacranti turni di guardia, esercitazioni sui ghiacciai delle montagne vicine, addestramenti notturni nei poligoni d’alta montagna, interminabili contrappelli fino a tarda notte, quando un pignolissimo ufficiale di carriera passa in rassegna i 300, uno per uno, alla difficile ricerca di qualche cosa che non va nella branda o nella divisa. Ogni poco, come in una gara agonistica a tappe, si aggiorna la classifica di merito in base alle diverse attività: chi non eccelle in topometria o, per esempio, nel salto in alto, scende in posizione. E’ la scrematura degli allievi, divisi in due corsi di circa 140-150 unità ciascuno, avviene settimana dopo settimana. "Quando li mando via, é sempre un momento terribile. Vengo anch’io dagli ufficiali di complemento", dice il generale Borgenni, "e so quante aspettative ci sono all’inizio e che delusione é". Ma alla fine, inesorabilmente, ne rimangono solo 110. "Fra un mese ho finito. Mi aspetta un posto nello studio dell’agente di cambio Alberto Pirovano, in Piazza degli Affari", racconta Fabio Deotto, 26 anni, milanese, accento della buona famiglia meneghina, 110 e lode al duro Des della Bocconi. "Ma questa", aggiunge, "é stata un’esperienza magnifica, che mi rimarrà anche nella city. Qui si impara a soffrire, ma anche a comandare". Ufficiali e gentiluomini, insomma. Ma che cosa ha di tanto speciale questa scuola? "C’é l’aspetto sportivo. I ragazzi diventano protagonisti di imprese eccezionali", inizia a spiegare il colonnello Italo Bonvicini, 46 anni, uscito dall’Accademia di Modena, istruttore scelto di sci e roccia, elicotterista, 21 mesi di guerra vera in Libano nelle forze dell’Onu. Per gli allievi ufficiali é come il Dio in terra: é responsabile dei corsi AUC, un duro capace di seminare in montagna qualsiasi ventenne. E racconta l’ultimo exploit, compiuto una settimana fa. Un reparto AUC, 130 uomini, é partito a mezzanotte dalla caserma marciando, con uno zaino di trenta chili in spalle e il fucile. Destinazione il monte Emilius, alto 3.559 metri. Hanno raggiunto la vetta e sono tornati indietro in tempo per il rancio delle 19, superando non stop un dislivello totale di 6 mila metri. "E’ stata dura. Ma alla fine la soddisfazione é stata enorme", dice orgoglioso Carlo Caldonazzo, 25 anni, bresciano, fresco di laurea alla Bocconi di Milano. Se questa é stata l’impresa straordinaria che ha sbalordito anche le guide alpine valdostane, la vita normale alla West Point alpina comprende, oltre alle marce più brevi ma veloci, le escursioni sul Monte Bianco o sul Gran Paradiso, scuola di roccia, esercitazioni con i mortai e le mitragliatrici. "Li prepariamo alla guerriglia, più che alla guerra", commenta il colonnello Bonvicini. Fatto sta che i tiratardi di Aosta, al rientro a casa dopo il ristorante, si prendono terribili spaventi quando vedono le pattuglie di soldati in tuta mimetica che, con la faccia dipinta di nero e fucile spianato, simulano per le strade della città (teoricamente occupata dal nemico) un assalto notturno in piena regola. Forse, però, non sospettano che tra quegli scalmanati ci sono Matteo Franchi, 25 anni, di Brescia, laurea alla Bocconi, o Giorgio Rossi, 27 anni, ingegnere civile di Milano, o Enrico Ripa di Meana, 22 anni, nipote dell’eurodeputato socialista, o Giuseppe Campregher, ingegnere elettronico di Trento. Tutti dediti, fino a qualche mese prima, solo allo studio e ai libri. Alla Scuola Militare alpina di Aosta, fondata nel 1934, arrivano ogni anno anche gli allievi ufficiali dell’accademia di Modena. Con la loro elegante divisa ottocentesca, con il passo morbido, varcano la soglia della Cesare Battisti per la tradizionale campagna estiva tattica e di addestramento sul terreno. "Arrivano qui grassottelli, pallidi pallidi, qualche volta un po' troppo consapevoli del bel mantello che indossano", commentano gli ex secchioni della Bocconi, "e noi li facciamo morire. Quando andiamo a correre o ad arrampicarci in montagna li distruggiamo. E pensare che sono futuri ufficiali di carriera". Ma cosa spinge questi ragazzi, che dopo quindici mesi rientrano nella vita civile e diventano manager o businessman, a sottoporsi a questa prova? Forse la possibilità di un maggior contatto con la natura, il gusto di sfidare se stessi. Il prestigio dato dall’aver frequentato la scuola più dura d’Europa. "Dato che il militare bisogna farlo ", spiega Caldonazzo, "meglio farlo in modo intelligente, anche se faticoso". E, in più, c’é anche l’aspetto economico. Diventando finalmente sottotenenti, i bocconiani in divisa ricevono il primo stipendio della loro carriera: un milione al mese. Questo vale per tutti i corpi e non solo per gli alpini. E così quest’anno a Roma, da dove si organizza la selezione, per i 1.500 posti di AUC messi a disposizione dai diversi corpi dell’esercito le domande di ammissione sono state più di 20.000.

Roberto Onice

 

Fonte : Ten. Filippo Pavan Bernacchi (140°)