Era il novembre 1959 quando entrammo nella Caserma Chiarle di Aosta per iniziare il 16° corso ASC (Allievi sottufficiali di complemento) della Scuola Militare Alpina. Camerate e letti a castello. Il mio compagno per così dire “di letto” era Pino Tezza. Provavo, e non solo io, una certa invidia mista ad ammirazione perché, avendo lui ottenuto il brevetto di pilota a 19 anni, poteva fregiarsi dell’aquila dorata ad ali spiegate che aveva spillato sopra il taschino a sinistra della divisa. Era nelle varie attività preciso, ordinato, scattante: il primo del corso.
Ricordo il dramma comune di noi allievi nel riassettare il letto, cioè la piegatura del materasso, lenzuola e coperte che doveva avvicinarsi alla figura solida del cubo; e lui, perfezionista com’era, riusciva nei tempi cronometrati per questa impresa, a creare anche gli angoli retti.
Concluso il corso lui rimase alla Scuola come istruttore, mentre io andai al Reggimento (il 7°, Btg. Feltre, Brigata Cadore). Non ci incontrammo più per 25 anni. Un giorno lo rividi in Conservatorio, al San Domenico, dove insegnavo: accompagnava il figlio Marco, un ragazzo di grande talento, a lezione di pianoforte.
Da quel momento non ci perdemmo più di vista: la musica era un nostro comune interesse, ma ancor di più ci univa il ricordo della Scuola Militare Alpina e del nostro servizio militare. Ci raccontavamo le nostre esperienze: lui istruttore e io al Reggimento. Mi confidava che si sentiva un alpino a metà, proprio perché gli mancava quella parte di addestramento, manovre a fuoco di plotone, di compagnia, di battaglione che solo al Reggimento potevi ricevere.
Partecipavamo agli incontri annuali con i nostri commilitoni di corso, ma Pino non si accontentava di questo; desiderava che coloro che non erano nelle condizioni di ritrovarsi potessero almeno comunicare tramite posta, telefono, WA e posta elettronica. Iniziò allora a predisporre gli elenchi degli allievi dei vari corsi (alcune migliaia), che aggiornava frequentemente: un lavoro immane che condusse con la passione, la generosità e la tenacia di un alpino.
Trascorreva ore e ore al telefono con i commilitoni che neppure conosceva; trasmetteva ottimismo, infondeva speranza e coraggio agli ammalati, consolava i figli e le spose dei commilitoni andati avanti. Questa operosità “da telefono amico” lo ripagava con commozioni e soddisfazioni immense.
Grazie Pino carissimo commilitone e amico per tutto questo. Ora il Comandante che sta nei Cieli ti ha dato l’ordine di posare lo zaino a terra.
Riposa in pace e che la terra ti sia lieve.
Vittorio Bolcato - 16° A.S.C.