L’ultima volta che ci siamo rivisti con un po’ di calma ed abbiamo potuto parlare è stato a Verona, all’adunata degli Alpini, una vita fa. Era il 1981 ed io ero là, mordendo il freno perché non potevo sfilare nella mia città dato il fardello di tre pargoli che mi trotterellavano attorno, tutti eccitati dalla baraonda. Ero vicino all’Arena, lungo le transenne, in attesa dell’inizio della sfilata.
Marcel – era Marcel per tutti: il suo cognome l’ho sentito per la prima volta all’annuncio della sua scomparsa – si trovava davanti a me, di spalle. Spostandosi nella ressa mi ha urtato leggermente e si è voltato subito per scusarsi. Un attimo: quegli occhi chiari e buoni mi riaccesero qualcosa, qualcosa che non riuscivo al momento a catalogare. Forse mi ha fregato il suo cappello da Alpino, che celava la famosa pelata nota a chiunque sia passato per Aosta nel corso di tanti anni, la pelata che risplendeva dietro al bancone dell’osteria più amata da tutti noi.
“Ma tu eri alla Smalp!” ha esclamato.
Sono rimasto di sasso. Va bene: che ero alpino lo si capiva dal cappello e il fatto dell’AUC poteva essere dedotto dai gradi di sottotenente, troppo facile. Invece si ricordava proprio di me, tra i mille e mille che gli erano passati davanti. L’ho capito dalla mezz’ora di chiacchiere fitte che mi ha sparato indietro tra i ricordi, fino al 1974.
Lui li inquadrava al volo i “suoi” Alpini: quelli che erano solo un po’ depressi, cioè quasi tutti, e quelli che erano proprio in crisi. Per quest’ultimi aveva una sensibilità tutta particolare ed una delicatezza fuori dell’ordinario per fermarsi a scambiare quella parola in più che serviva. Con Marcel era facile aprirsi perché non chiedeva, dava. Un bicchiere di una grappa speciale, un panino dei suoi, una sorso dalla grolla valdostana. Solo che la parte materiale di quel suo dare era unicamente l’inizio, lo spunto per sciogliere il groppo che l’AUC (o ACS: i problemi erano gli stessi per tutti) sentiva enorme e soffocante, nel fondo della gola. Ha aiutato me, ha aiutato mille altri, con piccoli grandi interventi che non ti facevano sentire più solo.
La prima volta ci eravamo incontrati in una giornata difficile. Aspettavo la morosa dopo un mese e mezzo di caserma e servizi, servizi e punizioni, con guardie e marce a fare da contorno. Era il febbraio del ’74 e il 74° Corso faceva pesantemente sentire i suoi effetti. Aspettavo finalmente la morosa che veniva ad Aosta. Solo che per la neve erano saltate le coincidenze a Milano e così, dal mezzogiorno fino quasi a sera, ho continuato a fare la spola tra la stazione e l’osteria di Marcel, fino ad allora nota solo per gli entusiastici racconti dei Vecchi del 73°. Due parole, un bicchiere ordinato, uno offerto, qualche banalità che, nel mio ansioso va e vieni per controllare qualsiasi treno in arrivo, diventava via via meno superficiale.
Da allora Marcel e la sua splendida osteria –una specie di tempio pagano per qualsiasi uomo con la penna nera – sono diventati per me un riferimento ed un’ancora di sicurezza. Ho conosciuto sua moglie, minuta ma delicata come lui, ho conosciuto suo figlio, mi ha invitato tante volte (purtroppo invano, tra servizi, morosa e gli ultimi esami universitari da finire) nella sua baita che mi pare fosse a Pila. Sono tornato un paio di volte anche dopo, negli anni, con la morosa diventata moglie e con i marmocchi che erano saliti a quattro. Aosta senza Marcel non era Aosta, almeno per me. E Aosta e Marcel rimarranno un ricordo tra i più preziosi, un ricordo che non muore.
Alberto Delaini - 74° A.U.C.
"Vedervi è tutto un sorriso"
Queste le parole pronunciate da papà Marcel, 82 anni; ha perso l'uso delle gambe ma è ancora lucido e ci riconosce. E' ricoverato in una casa di riposo di fronte alla caserma Testa-Fochi, basta chiedere di Marcel e tutti lo conoscono.
Ci ringrazia per essere andati a trovarlo, si commuove e noi con lui. Parliamo dei vecchi tempi e del rapporto speciale che ha sempre avuto con gli Alpini di ogni grado.
Al momento del commiato ci dice che abbiamo fatto un'opera buona nell'andare a trovarlo. Abbiamo solo restituito, in parte, un qualcosa che ci era stato regalato 25 anni fa, ma usciamo dalla casa di riposo con l'animo più leggero; non si dica poi che il 115° non paga i debiti.
Marco Di Pietro - 115° A.U.C.
Durante il nostro ritrovo in occasione del 25°, siamo stati a visitare Papa' Marcel. Ormai 82enne e' in una casa di riposo di fronte alla Testafochi, ha perso l'uso delle gambe a causa di un ictus, ma non ha perso se stesso ed il suo sorriso.
Ci riconosce, si commuove, lui... e noi. Difficile trattenere le lacrime nel vederlo, ma soprattutto nel vederlo da spento in attesa a gioioso e vivo, anche se solo per poche ore. Ci ringrazia, ma noi, dentro, sappiamo che siamo noi a dover ringraziare: quante pacche sulle spalle, quanti panini in piu', quanti giri di grolla gratis, quante cassette pronte, quanti favori, bastava chiedere. "
Giorgio Stenner - 115° A.U.C.