(13-9-1998) In occasione di un Raduno ad Aosta Filippo, cioè il Ten. Filippo Pavan Bernacchi (140°) si è scatenato e, al di là del programma ufficiale, ha girato tutta la "Battisti" fotografando in lungo ed in largo la nostra amata caserma. L' unico che è riuscito a sfuggirgli è stato l'Ufficiale di Picchetto, che ha trovato lungo più del solito per via di questi due pazzi (ovviamente l'altro ero io), che venivano di volta in volta segnalati nei luoghi più disparati della caserma. Ne è venuto fuori un reportage che fissa fedelmente quella vita, quelle abitudini e quei luoghi che tutti ben ricordiamo ed amiamo.
Era da un po' che meditavo di tornare alla Scuola Militare Alpina d'Aosta, dove ho frequentato il 140° Corso A.U.C. (allievi ufficiali di complemento), ma ho sempre rimandato. Dal 1990 ad oggi, a dire il vero, ho evitato accuratamente la Valle d'Aosta; troppi ricordi dolorosi. Ma, come diceva sempre mio padre, più passa il tempo e più si tendono a ricordare solo le cose belle, mentre sfumano o scompaiono quelle spiacevoli. All'epoca non ci credevo, ma ora so che é vero. L'occasione si è presentata proprio navigando sul sito di Marco, cioè il Tenente Marco di Pietro, "nonno" del 115°. In bacheca, infatti, era menzionata la possibilità di passare qualche giorno ad Aosta. Il programma ne prevedeva ben tre, durante i quali era annunciata anche una marcia. Tre giorni sono troppi, anche perché non ho trovato amici che venissero con me, quindi ho contattato Marco e abbiamo concordato di fare una fuga solo per la giornata di domenica..
Sveglia alle 4.00, doccia barba e partenza. A Voghera trovo Marco, e salgo in macchina con lui. Non c'eravamo mai visti prima, ma siamo diventati subito amici. Parlando il tempo è volato, e ci siamo trovati come d'incanto vicino all'Arco d'Augusto. Lì il gruppo stava partendo, e ci siamo accodati immediatamente. Che sensazione sublime entrare al Castello Generale Cantore, dimora del generale comandante in carica. Gli alpini all'ingresso scattano sull'attenti, e un brivido mi percorre la schiena. Il maniero, che risale al primo decennio del 1900, è posto al centro di un bellissimo parco. Fa sorridere pensare che il capitano Fino lo abbia acquistato negli anni trenta, per conto dello Stato Maggiore, per 1.000.000 di lire di allora. E' una splendida giornata di settembre, il cielo è blu e il sole splende incontrastato.
Metto in testa il BANTAM e vado a salutare l'ideatore dell'iniziativa. E' un signore maturo, alto e aristocratico, che sprizza energia da ogni poro. E' un personaggio di cui, al giorno d'oggi, si è perso lo stampo. Credo che non si sia ancora reso conto di essere in pensione. Un capitano ci accoglie e c'informa che il signor generale non sarà presente; la figlia gli ha appena regalato un altro nipotino. L'ufficiale ci comunica che sarà il nostro Cicerone, poi c'introduce all'interno del Castello. E' come in una favola e mi sento Cenerentola. Mai, da allievo, avevo osato pensare di poter accedere a quei locali. Le stanze sono ampie e luminose, spartane e sontuose al tempo stesso. Alle pareti un'infinità di foto, documenti e riconoscimenti. Sotto delle teche di cristallo, sono conservati i diari di tutti i corsi.
E' emozionante guardare il librone rilegato in pelle del mio, anche se mi fa sentire un po' vecchio. L'attenzione del capitano scema, e il gruppo si sparpaglia nelle varie stanze. E' il momento propizio, io e Marco entriamo nell'atrio dell'ufficio del generale, alias Luce 1, alias Dio. Lì ci soffermiamo ad esaminare alcune vetrinette ricolme d'oggetti di varia natura. Quasi tutti doni fatti da ufficiali stranieri in visita. Appoggiata su uno scaffale trovo una chiave, eureka, è la chiave dell'ufficio del generale.
Guardo Marco e lui guarda me. Non c'è bisogno di parlare. Mentre il tenente Di Pietro fa da palo io entro furtivamente e scatto una foto. Il tutto si svolge alla velocità della luce, la paura mi fa muovere come Flash, mitico personaggio dei fumetti. La visita continua con la palestra di roccia e ghiaccio. Mentre sono lì, in gruppo, che ascolto il capitano in drop, mi tornano in mente un'infinità di ricordi. Su tutti prevale quello in cui un sabato mattina le mani si ghiacciavano e il capitano Braga tirava sassi dall'alto della parete verticale. Figlio di...
Ci spostiamo quindi all'interno del Padiglione Fincato. Un unico stanzone adibito a museo. Qui c'ero già stato da allievo, ma solo per scaldarmi tra una via e l'altra della palestra di roccia. Ho così potuto visitarlo ed esplorare il suo contenuto con calma, come fosse la prima volta. Nel museo sono disposti, senza molta logica, una gran quantità d'oggetti. C'è un insieme di sculture lignee che la Scuola aveva commissionato ad alcuni artigiani della Val Gardena, per disporre di modelli tridimensionali da utilizzare durante le lezioni teoriche.
Ci sono sci di diverse epoche, perlopiù di legno, divise e materiali, e altri ammennicoli vari come un set "copri-mulo". Un'area intera è dedicata poi alla conquista dell'Everest, che avvenne il 7 maggio del 1973 alle ore 13.15, Mentre attendo che tutti escano dal Padiglione, ho l'occasione di parlare ancora con il colonnello.. Apprendo così che suo fratello è stato uno degli ufficiali istruttori del mitico 1° Corso, mentre lui è approdato alla Scuola con il grado di sottotenente l'anno successivo.Stiamo parlando di quasi cinquant'anni fa! Ci siamo tutti, salutiamo, saliamo in auto e ci dirigiamo verso la nostra "odiata" caserma.
Sono eccitato come quando da bambino mio padre mi accompagnava al luna park. Marco mi guarda un po' perplesso, mentre sparo cretinate e sorrido come un idiota. A sinistra della porta carraia, una targa di marmo bianco indica: SCUOLA MILITARE ALPINA CASERMA CESARE BATTISTI Il lampeggiante arancione si accende e il cancello elettrico si apre. Entriamo in macchina e parcheggiamo davanti alla palazzina AUC, proprio dinanzi alle finestre di quella che una volta era la mia camerata.
Una marea d'emozioni, sensazioni e ricordi mi assalgono come un branco di lupi affamati. Metto di nuovo in testa il Bantam e mi avvio come un turista. Fuori della porta della palazzina AUC ci sono degli allievi della seconda compagnia. Sono molto gentili, ma spiegano e me e a Marco che non possiamo entrare. Anche noi siamo molto gentili, ma andiamo ugualmente a vedere le camerate, scortati da un impacciato e preoccupato allievo di giornata.
Entro nella n° 8, che ha ospitato sia me che i miei due fratelli, naturalmente in anni diversi. Gli armadietti sono più moderni, quasi doppi rispetti a quelli che avevamo in dotazione noi. Ai piedi del letto c'è un piccolo scrittoio con una sedia, per permettere ad ognuno di studiare. E' sparito però lo sgabellino a tre piedi. Ma sopra gli armadi ci sono dei tiratissimi zaini alpini, delle panciute borse valigia e dei perfetti zaini tattici. Sopra le brande i cubi sono impeccabili e il pavimento, tirato a cera, brilla di luce propria. Sì, per Dio, questa è la SMALP!
Usciamo e ci dirigiamo verso il piazzale alzabandiera. Lì, proprio sotto il pennone con il tricolore, assistiamo ad una messa da campo. La sfiga vuole che io me la spari tutta al sole! Al termine della funzione, prima del rancio, ci viene lasciato un po' di tempo. N'approfitto per scorrazzare felice in ogni meandro e scattare un po' di foto. Il corpo di guardia non è più davanti al cancello principale, ma è stato spostato di fianco alla carraia. Mi reco nella palazzina dove c'era il vecchio ufficio dell'ufficiale di picchetto, e fotografo il busto di Cesare Battisti, che fa bella mostra di se nell'atrio.
Quante ore sono stato con il FAL imbracciato a fare il piantone di fianco a quel busto. Davanti alla palazzina della compagnia comando e servizi trovo un AUC della seconda che mi prega di non entrare. Ordini superiori. Ha le giberne, è dunque di guardia. Per tutta risposta gli scatto un paio di foto. L'SCBT non è più verde, bensì policroma. Questo conferisce anche all'allievo medio-mongolo un'aria cazzuta. Le scritte AUC non sono più tubolari da portare sulle spalle. Ce n'è una soltanto ed è posta sopra lo sterno. Le pedule hanno lasciato il posto a degli stivaletti da lancio, modello paracadutisti, e sia il cinturone che le giberne non sono più in cordura bensì in nailon, o qualcosa del genere. Mi accorgo che c'è un nuovo accessorio, un foulard verde da portare al collo. Il cappello alpino, stranamente, è rimasto sempre lo stesso: nappina blu, penna nera e aquila di plastica cucita sul davanti.
E' ora del rancio. Mi porto fuori della mensa dove un folto gruppo di volontari in ferma permanente sta attendendo di entrare. Cerco l'ufficiale di servizio, lo trovo, e gli faccio dare un bell'attenti. Il pensiero corre a quando in fila c'ero anche io. Per certi versi, quando ero alla Scuola, mi sembrava sempre di essere in fila: colazione, pranzo, cena, ritiro armi, riconsegna armi, spaccio, telefoni, stipendio, docce, barbiere. Per fare qualsiasi cosa bisognava mettersi in coda!
Raggiungo il gruppo m'infilo nella seconda mensa. Il rancio è lo stesso servito agli AUC, e così mi ritrovo a mangiare un riso colloso e una bistecca dura come la suola di un vibram. Alla fine io e Marco ci defiliamo con una certa abilità, prima che il colonnello Campana dia il via ai cori. Visitiamo così le cucine, con quelle pentole enormi così difficili da raschiare. Gli ambienti sono asettici, come una sala operatoria, ma i cuochi sembrano appena usciti da un pozzo nero.
Uscendo da una porta di sicurezza raggiungiamo il circolo ufficiali. Entriamo. Non vi avevo mai messo piede prima, ed ho paura di venire sbattuto fuori da un momento all'altro. Lì troviamo il capitano che ci ha fatto da Cicerone al Castello, non dice nulla, e noi lo prendiamo come un buon segno.
Il circolo è piccolo, ma molto bello e ben tenuto. Io e Di Pietro ci prendiamo un caffè, ma immediatamente adocchiamo le bottiglie offerte. E così ci beviamo un paio di grappe alla faccia dei "bottigliati". Dopo poco veniamo raggiunti dal gruppo, che ha finalmente finito di cantare. Li guardo con aria assente, un po' perché sono in piena digestione, un po' perché la grappa è in circolo.
Usciamo a prendere una boccata d'aria e troviamo l'ufficiale di picchetto. Gli chiedo cortesemente di potergli fare una foto, ma questi rifiuta sdegnato. E' convinto che la Beretta che porta appesa al cinturone sia un segreto di Stato. Coglie l'occasione per ricordarmi che sono all'interno di una struttura militare, e che è vietato fotografare. A stento non colgo l'occasione per mandarlo affanculo. Mi trattengo solo perché li con me c'è Marco che mi guarda dritto negli occhi, per impedirmi di fare cazzate.
Mentre il colonnello ed i suoi fedelissimi sono all'interno dello spaccio truppa, per tenere la riunione annuale, io e Di Pietro ce n'andiamo in infermeria. E' proprio come me la ricordavo, pulita e profumata. All'uscita c'imbattiamo nella pattuglia di guardia. Altre foto. E' significativo vedere che aldilà delle nuove uniformi gli allievi imbracciano ancora i FAL e comunicano con le RV2/11.
Sono le due quando decidiamo di andare. Io devo percorrere circa 400 chilometri per arrivare a casa. Do un'ultima occhiata in giro, e il cuore mi si gonfia. Faccio fatica a trattenere una lacrima. Qui ho imparato da zero valori quali: Patria, spirito di corpo, solidarietà, sacrificio, amicizia. Ho capito, a mie spese, che la giustizia è una cosa effimera e soggettiva. Qui ho imparato ad obbedire e a rispettare delle severe norme. Qui sono sicuro di essermi trasformato da ragazzo in uomo.
Cap.Filippo Pavan Bernacchi - 140° A.U.C.